COME RECUPERARE GLI AFFITTI NON PAGATI COL COVID

A causa del lockdown molti proprietari di immobili hanno visto saltare i canoni di locazione di inquilini e attività commerciali in affitto. Si tratta di mensilità che possono essere recuperate o, in alcuni casi, ricontrattate con i conduttori. Vediamo come caso per caso.

 

La pandemia da Covid 19 e le misure di contenimento del virus previste dal Governo, specialmente nel corso del 2020, hanno certamente costituito una battuta d’arresto nell’economia del nostro paese con conseguenze a cascata su tutti gli ambiti della vita personale e professionale dei cittadini.

In molti non sono riusciti ad onorare gli impegni economici, anche ordinari, assunti, come ad esempio il pagamento dei canoni di locazione dell’abitazione o del locale commerciale nel quale svolgono la propria attività.

In questo articolo cercheremo di capire se e come i proprietari degli immobili possono recuperare i canoni non pagati e quali eccezioni gli inquilini potrebbero opporre.

 

CANONI DI LOCAZIONE DI IMMOBILI AD USO ABITATIVO

 

Gli inquilini di immobili adibiti a civile abitazione sono sempre tenuti al pagamento dei relativi canoni di locazione. Il contratto di locazione in questo caso è infatti proseguito senza interruzioni o modifiche, anche nel corso della pandemia, e l’inquilino ha potuto godere dell’appartamento per l’uso per il quale lo ha locato. Dunque i proprietari possono procedere al recupero dei canoni non pagati.

A tale scopo, sarà sufficiente rivolgersi ad un avvocato affinché chieda al tribunale o al giudice di pace (dipende dall’importo), senza necessità di udienze, di emettere un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo, ovvero un provvedimento con il quale il giudice intima al debitore di pagare il debito maturato maggiorato degli interessi e delle spese legali, immediatamente e senza dilazioni. Il locatore potrà chiedere nello stesso atto lo sfratto (quindi il rilascio dell’appartamento) e l’ingiunzione di pagamento per i canoni scaduti.

Qualora il debitore non provveda al pagamento, il creditore potrà procedere con la notifica del precetto (ovvero l’ultimo atto di intimazione) e, se entro dieci giorni il debitore è ancora inadempiente, con l’esecuzione forzata sui suoi beni (ad esempio con il pignoramento di somme o beni).

Il conduttore che si sia visto citare in giudizio per la contemporanea convalida dello sfratto e il pagamento degli arretrati può evitare di essere cacciato dall’immobile pagando gli arretrati direttamente in udienza. Il conduttore può fare richiesta di un termine di grazia (non superiore a novanta giorni), ovvero un termine per procedere al pagamento dell’intero debito.

Se il mancato pagamento dei canoni non è superiore a due mensilità ed è dovuto a difficoltà economiche del conduttore, insorte dopo la stipula del contratto (ad esempio causate direttamente o indirettamente dalla pandemia), il giudice può assegnare al conduttore un termine di ben centoventi giorni per sanare la propria morosità.

Diversamente, qualora venga convalidato lo sfratto ed emesso provvedimento di rilascio dell’appartamento, il proprietario potrà rientrare in possesso dell’immobile anche attraverso l’ufficiale giudiziario e la forza pubblica . Come noto le esecuzioni immobiliari e le ordinanze di rilascio sono state sospese fino al 30 giugno 2021.  Da ultimo il nuovo decreto legge “Sostegni” del 25.05.2021, n. 73, ha prorogato ulteriormente la sospensione delle esecuzioni immobiliari e di rilascio degli immobili, ad uso sia abitativo sia commerciale che potranno riprendere a scaglioni. In particolare:

  1. a) per i provvedimenti di rilascio adottati dal 28 febbraio al 30 settembre 2020, le procedure esecutive saranno bloccate fino al 30 settembre 2021;
  2. b) per i provvedimenti di rilascio adottati dal 1 ottobre 2020 al 30 giugno 2021, il blocco permarrà fino al 31 dicembre 2021.

Le ordinanze di rilascio ancora non emanate non dovrebbero invece subire sospensioni.

CANONI DI LOCAZIONE DI IMMOBILI AD USO COMMERCIALE

 

Nel caso di locazioni di immobili ad uso commerciale occorrerà invece valutare caso per caso, perché il contratto, a causa ed in conseguenza della pandemia, potrebbe non essere proseguito regolarmente.

L’art. 1457 del codice civile stabilisce infatti che “nei contratti a esecuzione continuata o periodica ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall’articolo 1458. La risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell’alea normale del contratto. La parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto”

È indubbio che la pandemia di Covid 19 rappresenti un accadimento di carattere straordinario (essendo la prima volta che si verifica un’emergenza sanitaria su scala planetaria che ha la capacità di mettere seriamente in crisi, in poche settimane, le economie di quasi tutti i Paesi del mondo) ed imprevedibile (considerato che nessuno avrebbe potuto prevedere l’occorrere di tale accadimento usando il criterio di ordinaria diligenza).

Sul punto l’ufficio del Massimario della Corte di Cassazione ha emanato la relazione tematica n. 56 del 14 luglio 2020 allo scopo di fornire, a magistrati ed avvocati, indicazioni su come integrare la normativa generale dei contratti citata con quella emergenziale.

In particolare l’ufficio ha precisato che “nei più disparati settori, che vanno dall’energia alla sanità, dai trasporti al turismo, dagli alimentari al terziario, pare evidente che dall’emergenza sanitaria, economica e sociale accesa su scala mondiale dal Covid 19 stiano germinando conseguenze che esondano dagli argini della congiuntura finanziaria sfavorevole; dette conseguenze finiscono per riportare nei casi concreti tratti di straordinarietà, imprevedibilità e inevitabilità tanto marcati ed eloquenti da legittimare la parte pregiudicata ad agire in giudizio per la risoluzione del contratto squilibrato, tanto in ragione dell’inusuale aumento di una o più voci di costo della prestazione da eseguire (cosiddetta ‘eccessiva onerosità diretta’), quanto a causa della speciale diminuzione di valore reale della prestazione da ricevere (cosiddetta ‘eccessiva onerosità indiretta’)”.

 

Dunque, applicando la normativa descritta e la sua interpretazione all’interno del tema che stiamo trattando, emerge che il conduttore di locali commerciali, colpito dalle misure di contenimento del virus, avrebbe potuto richiedere la risoluzione del contratto o un riequilibrio dello stesso attraverso una rinegoziazione (riduzione) dei canoni.

Il conduttore di locale commerciale, costretto a rimanere chiuso per lunghi periodi, non ha infatti potuto usufruire del bene immobile locato (eccessiva onerosità indiretta) e nello stesso tempo ha subito, oltre che una considerevole riduzione dei redditi, anche un inusuale aumento dei costi (si pensi, anche durante le temporanee riaperture, a tutte le misure di sanificazione e distanziamento previste a carico degli esercizi commerciali).

 

In conclusione, qualora il conduttore, al momento della applicazione delle misure restrittive, non abbia chiesto la risoluzione del contratto di locazione, ma abbia omesso il pagamento dei canoni, potrà ancora oggi chiederne la riduzione.

È consigliabile dunque, prima di richiedere il pagamento dei canoni di locazione per via giudiziaria (quindi con la richiesta al giudice di emettere un decreto ingiuntivo secondo la procedura descritta nel paragrafo che precede) di tentare – anche con l’aiuto di un avvocato, se del caso – di raggiungere un accordo con la controparte che sia sostenibile per entrambi.

Per quanto attiene allo sfratto e alle ordinanze di rilascio, valgono invece le medesime modalità e tempi già descritti nel paragrafo sugli immobili ad uso abitativo.

di Fabrizia Patanè, avvocato