DOCUMENTI URBANISTICI NECESSARI PER ACCEDERE AI BONUS

La ripresa dei cantieri edili legati alle ristrutturazioni è vincolata al rispetto di norme ben precise. Agibilità, condoni, asseverazioni di stato legittimo, vediamo quali sono i criteri necessari per accedere agli sgravi fiscali.

 

Il rilancio dei settori produttivi duramente provati dalla pandemia passerà anche attraverso diverse misure di incentivazione fiscale, che prevalentemente riguardano quello strategico del comparto edile. Questo settore può rimettersi in marcia attraverso il recupero del patrimonio edilizio esistente basandosi sull’efficientamento energetico, sull’adeguamento antisismico e sull’eliminazione dello stato di degrado delle facciate. Il conseguimento di tali obbiettivi, comporta effetti diretti sul valore del costruito e, più in generale, sulla migliore qualità ambientale data la minore emissione di anidride carbonica nell’atmosfera. Inoltre con il cosiddetto “recupero dell’esistente”, si dissuade l’accesso forzato alle nuove costruzioni attuando così un risparmio del consumo di suolo, oramai saturo di nuove cementificazioni.

Evoluzione dei titoli edilizi fino ai giorni nostri

 

Dato che la manovra è prettamente orientata sulla conservazione e miglioramento dell’esistente, è stata posta la condizione che gli interventi necessari siano preventivamente supportati dal requisito di “legittimità urbanistica” del fabbricato oggetto di riqualificazione. Per potere illustrare al meglio tale requisito essenziale è necessario riferirsi a quei “titoli edilizi” emessi dalla pubblica amministrazione che hanno autorizzato la realizzazione del fabbricato oggetto d’intervento. Nel caso di Roma, che è caratterizzata da un centro storico al cui esterno si espande un tessuto edificato lungo il sistema radiale delle vie consolari (attuato in fase otto-novecentesca), le origini del processo autorizzativo edilizio vanno ricondotte al primo decennio del secolo scorso. In quell’epoca fu istituito l’obbligo del titolo abilitativo per le nuove costruzioni all’interno del perimetro delle mura aureliane e nella parte di territorio più prossimo ad esse. Tale regime autorizzativo fu conservato e poi mantenuto con la istituzione del governatorato in epoca fascista, sino alla fase bellica del secondo conflitto mondiale. Proprio del 1942 è la legge nazionale urbanistica n. 1150 che rendeva obbligatoria su tutto il territorio cittadino regolato da piano regolatore, la necessità della licenza edilizia (poi estesa con la “legge ponte” n. 765 del 1967 al territorio a tutto il territorio comunale, a prescindere dalla dotazione degli strumenti urbanistici).

Con il sopraggiungere della legge n. 10 del 1977, detta “Bucalossi”, il titolo abilitativo cambia nome e diventa “concessione edilizia, per poi trasformarsi in “permesso di costruire” con  il testo unico edilizia di cui al dpr 380 del 2001. A tali titoli edilizi si accompagna quello relativo all’agibilità, che suggella quanto costruito legittimamente come idoneo sotto il profilo della salubrità, della sicurezza statica e della destinazione degli immobili presenti nel fabbricato in base al loro uso e distribuzione ai vari piani, a seguito di sopralluogo eseguito dagli organi di sorveglianza preposti a tale verifica, poi sostituita da autocertificazione soggetta a controllo. Forse tale narrazione può risultare prolissa e stancante, tuttavia è spesso riscontrabile nel caso di vendita del bene singolo: il proprietario si trova davanti al notaio che chiede, ai fini della vendita del bene, i titoli edilizi prima narrati che in forma subordinata devono essere accompagnati dal complementare, ma necessario, avvenuto accatastamento. Se quest’ultimo non è conforme al titolo edilizio originario o, ancora peggio, lo stato di fatto rilevato è difforme da ambedue i documenti, ne va ricercata la ragione, ovvero va individuato un eventuale ulteriore titolo successivo che ne ha sancito la variante. Si innesca di seguito un processo di ricerca che in assenza di basi documentali, può anche condurre ad una serie di sanatorie non sempre possibili.

Utilità ai fini dei bonus

 

A tal punto il lettore si chiederà che cosa attiene tutto ciò ai “bonus”.  La risposta la si trova nell’art. 49 del dpr n. 380/2001 che dispone l’impossibilità di accedere a detrazioni fiscali in presenza di abusi edilizi, sia esso superbonus, bonus facciate, eco bonus o bonus casa. Ciò attiene ovviamente alle parti di fabbricato oggetto d’intervento. Ovvero, essendo il superbonus 110% ed il bonus facciate 90% prettamente dedicati alle parti comuni del fabbricato, è per esse che va verificata la loro legittimità urbanistica, ovvero la loro conformità rispetto al titolo abilitativo originario o a quello relativo alle successive varianti autorizzate.

Il professionista chiamato ad eseguire tale verifica deve emettere una asseverazione di “stato legittimo” che fa parte del compendio delle documentazioni che accompagnano l’iter amministrativo, fiscale e finanziario, che rendono possibile l’incentivo della detrazione o della cessione del credito alle imprese (o ad altro soggetto finanziario che lo acquisisce). Tuttavia, se le difformità tra il progetto allegato al titolo abilitativo e lo stato di fatto sono di lieve entità, si può comunque ottenere l’accesso ai bonus.

La quantificazione di tale entità viene stabilita dall’art. 34 del testo unico dell’edilizia (dpr 380/2001) successivamente modificato dal dl semplificazioni che fissa nella misura minima del 2% il mancato rispetto dell’altezza, della cubatura, della superficie coperta, dei distacchi, e di ogni dimensionamento delle singole unità immobiliari, tale che esso non costituisca difformità rispetto alle misure riportate nel titolo abilitativo.

Se si ricade nella misura maggiore di tale parametro, non si può accedere ai bonus prima citati. Tale condizione riguarda una notevole parte del patrimonio edilizio nazionale. Tuttavia laddove non sia reperibile la necessaria documentazione, subentra, soprattutto per gli immobili più datati, l’articolo 9 dell’onnipresente testo unico dell’edilizia novellato dal dl semplificazioni. Secondo questa norma lo stato legittimo è: “quello desumibile dalle informazioni catastali di primo impianto, ovvero da altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d’archivio, o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza”.

“A tali documenti”, prosegue la norma, “va aggiunto il titolo abilitativo che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio sull’immobile o sull’unità immobiliare, integrato con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali”.

Parlando sempre di difformità, va poi presa in considerazione quella molto ricorrente operata dal singolo sulla parte comune. In tale caso se la difformità è stata sanata o condonata va censita nello stato legittimo. Qualora non vi fosse legittimità riscontrata va verificata la sua sanabilità e quindi deve essere avviato il relativo iter. Se non ricorre la possibilità di sanare, l’abuso va rimosso, ciò al fine di non compromettere l’accesso ai bonus da parte dei restanti condomini che non hanno commesso alcun illecito edilizio.

Se non si verifica tale condizione, sussiste la possibilità di avviare la procedura legale di rivalsa nei confronti di chi si oppone alla rimozione dell’abuso. Sicuramente la problematica inerente alla legittimità urbanistica è molto attuale e stringente e non trova nell’immediato delle soluzioni qualora essa non ricorra e non sia conseguibile. Di sicuro l’aspetto dirimente è che, in assenza di abusi si accede ai bonus, in caso contrario vanno valutati con consapevolezza i relativi effetti.

di Domenico Sostero, architetto