lavoratore in cantiere durante lavori per il bonus edilizio

Dal bonus edilizio al dissesto, serve un piano per l’edilizia

Bonus edilizio, incentivi per le rinnovabili, cambiamenti climatici e dissesto idrogeologico, il nostro Paese ha affrontato il tema abitativo in modo sporadico negli ultimi decenni e spesso emergenziale, mostrando il fianco ad abusivismo, frodi e calamità naturali. Serve una strategia di lungo periodo.

 

L’ottimismo che aveva accompagnato tutte le misure in campo adottate dal Governo in tema di incentivi fiscali rivolti al recupero edilizio ed energetico del patrimonio abitativo, sembra evidenziare alcune metodiche errate anche se gli obbiettivi sono apprezzabili.

L’iniziativa politica per  favorire i soggetti proprietari delle proprie case, deve poi tradursi in regole applicative certe e non sottoposte a continui emendamenti man mano che ci si accorge della complessità fiscale e tecnica dell’argomento. Non si può dare con una mano e poi togliere con l’altra. Così come non si possono creare misure d’incentivazione accompagnate da messaggi che invitano alla gratuità effettiva dell’intervento a carico dello Stato, quando poi quest’ultimo non ha le risorse per attuarlo. Ma è vero ciò?

Il Superbonus 110% ad esempio – quello mediaticamente più famoso – ha esaurito la sua capienza e raggiunto il tetto. Ciò potrebbe non essere completamente vero, dato che la misura ha costituito un contrasto alla depressione dell’attività economica del settore edile con ritorni occupazionali, che tra l’altro hanno limitato il tradizionale “nero” circolante nel settore ed aumentato il fatturato del manufatturiero.

In sostanza si è alleggerito nel comparto edilizio l’intervento assistenziale dello Stato, ovvero il suo contributo economico che sostituisce o integra la retribuzione che è destinata ai lavoratori sospesi dal lavoro o che operano con orario ridotto a causa di difficoltà produttive dell’azienda di appartenenza. Si è rivelata anche una cospicua componente di contributi versati per effetto dell’emersione del regime di lavoro subordinato.

Ci sarebbero quindi tutti presupposti per rendere strutturali tutte queste misure di incentivazione, salvo alcuni effetti negativi, il più delle volte evidenziati mediaticamente o meno e talvolta sostanziali.

I primi riguardano l’anomalia delle frodi perpetrate nei fatti in una misura non esattamente rilevante, cioè dichiarare lavori poi eseguiti. Ma questa è una vecchia storia, direi quasi fisiologica nel nostro Paese e anche di altri, ma non è una ragione sufficiente a  mettere in discussione una misura giusta per il rilancio economico. Misura che tuttavia deve prevedere controlli e interventi repressivi, cosa che si è verificata dato che è emerso il problema, ma anche fattori dissuasivi a monte. Con qualche imposizione sul richiedente, senza creare scandalo sul “tutto gratis”, si poteva costituire una struttura ispettiva di verifica effettiva documentale e poi sul territorio.

L’aspetto rilevante è l’aumento dei costi dei materiali necessari, data la loro richiesta fuori dalla norma, la fase bellica in corso, il rialzo del costo del gas e l’eccessivo ricorso ad essi quali elementi principali di efficientamento energetico,

Mentre si rincorre il cappotto esterno come elemento rilevante, in altre realtà si adottano i criteri della “smart city”, ovvero, quale esempio limite, uso di sensori in grado di creare interconnessione fra oggetti e impianti, ma anche di raccogliere dati utili per comprendere l’effettiva presenza di persone nei vari ambienti e regolare, di conseguenza, temperatura e illuminazione.

Obiettivamente se non si investe in ricerca, si è sempre un passo indietro e il meccanismo speculativo germina più rapidamente. Scorrendo nei ricordi, mi rimase impressa una frase di un autorevole studioso della questione meridionale il quale asseriva che le mafie, abituate ad operare nei settori produttivi più grossolani, quali scavi, rifiuti e cemento, sarebbero arretrate di fronte all’innovazione tecnologica, che cambia il mercato ma anche la testa. Ciò è vero e lo si riscontra in tutti i settori.

Oggi a seguito della vicenda calamitosa avvenuta nel novembre scorso a Ischia, si evidenzia la questione dell’abusivismo edilizio, fenomeno tipicamente diffuso in Italia. Esso ha radici profonde ed è riconducibile al secondo dopoguerra.

Il Paese esce perdente e distrutto dal conflitto e riscontra circa quattordici milioni di edifici inagibili e in macerie. Con la ricostruzione si creano forti flussi migratori interni verso i grossi centri. Ai massicci interventi dello Stato, supportati dal Piano Marshall, corrisposero diversi livelli di emergenza abitativa che venne affrontata in parte nell’immediato e successivamente dal Piano Fanfani. L’intervento pubblico, nel criterio della casa come diritto, proseguì sino al boom economico ed anche oltre, sino al cessare del fondo di prelievo Gescal, che cessò la sua vita nei primi anni ’70. L’intervento dello Stato divenne allora meno prevalente, ovvero più indiretto, meno diffuso e l’emergenza abitativa è rimasta.

Colpevole di ciò è la mancata centralità della casa come diritto prevalente nella pianificazione urbanistica delle città. Non c’è più la visione che essa debba essere un bisogno che deve costare il giusto, senza togliere risorse a un sano ed equilibrato consumo. Dove  l’amministrazione locale non pianifica efficacemente e non sorveglia, si forma talvolta per necessità il mancato rispetto delle regole. Se non si ha accesso facilitato alla casa, si prende un pezzo di terreno e ci si costruisce sopra di sabato e di domenica. Così andando, si creano diversi nuclei abitativi spontaneamente sorti che diventano oggetto delle tre leggi sul condono edilizio che si sono susseguite dal 1985 al 2003.

Il confine tra l’abuso di necessità e non, è difficilmente distinguibile. Tuttavia secondo alcuni dati pubblicati, l‘abusivismo pesa il 47,3% del patrimonio immobiliare al Sud, il 18,9% al centro ed  il 6,7% al Nord.

Parte di questo patrimonio insiste su aree paesaggisticamente rilevanti o interessate da dissesto idrogeologico.

Invece del superbonus si sarebbe potuto pensare a un “Frana Bonus”. Tuttavia è necessario rendere strutturali tutti gli incentivi e rivolgerli alla sicurezza antisismica del patrimonio abitativo, coordinando con essi tutti i finanziamenti che già sono stati assegnati alle regioni e ai Comuni. Tale aspetto non riguarda solo le realtà più interessate dall’abusivismo, ma anche quelle urbane ove vi sono edifici provvisti di titolo edilizio realizzati con strutture in cemento armato che ha esaurito il periodo convenzionale della sua durata stimato in cinquanta-sessanta anni.

Il criterio di sicurezza va sempre pensato accanto quello energetico: essi possono coesistere coniugando tecnologie diverse, intonaci a basso spessore di contenutissime trasmittanze con sottostanti interventi di placcaggio e fasciatura di strutture verticali ed orizzontali.

Non si sa quanto peserà il nuovo provvedimento della riduzione dell’incentivo bonus eco-sisma dal 110% al 90% e quanta influenza avrà l’ipotesi della sua detrazione decennale in termini di utilizzo del credito acquistato da parte dei soggetti finanziari. Probabilmente inizialmente l’interesse in generale diminuirà. Tuttavia il problema permane, la sicurezza ed il risparmio energetico vanno collocati in un giusto intervento strutturale nel tempo e con criteri di sostenibilità per i conti pubblici e per il soggetto beneficiario.

di Domenico Sostero, architetto.