Sconto in fattura e cessione del credito finiscono in soffitta mettendo una seria ipoteca sui bonus fiscali ora accessibili a pochi. Incentivi utili che andavano programmati meglio.

Fine annunciata e non prematura dei bonus fiscali in edilizia

Sconto in fattura e cessione del credito finiscono in soffitta mettendo una seria ipoteca sui bonus fiscali ora accessibili a pochi. Incentivi utili che andavano programmati meglio.

 

L’ultimo decreto milleproroghe del Governo, sancisce la cessazione della cessione del credito e dello sconto in fattura. Sostanzialmente per coloro che non hanno capienza fiscale, ovvero il cui reddito non consente di detrarre dalle dovute tasse quanto speso per la riqualificazione energetica o per la ristrutturazione del proprio immobile, si para davanti il muro della inaccessibilità a tali bonus fiscali.

Perché è successo questo? I fattori sono molteplici.

Uno su tutti è lo scollamento tra la mole della misura Superbonus 110% e la volontà da parte di alcune parti politiche di continuare a gestirla.

È ben noto che essa fu concepita il 18 luglio 2020 con il decreto n. 77, quindi in piena epoca pandemica, fase storica improvvisa e di estrema difficoltà che affossava ancor di più la disastrosa condizione nel quale versava il settore dell’edilizia nel nostro Paese. Con il sopraggiungere di codesta misura si è creata una ventata di ottimismo che si è tradotta in una immediata marcia in avanti in campo occupazionale e produttivo.

L’aspetto più rilevante, a parte la prospettiva di migliorare energeticamente e strutturalmente i propri immobili, era quella della percentuale di detrazione fiscale attribuita alla spesa fatta o da fare e la possibilità di cedere il credito ed usufruire dello sconto in fattura. In parole povere, oltre a beneficiare della detrazione totale al 100%, vi era un 10% in più premiale che di fatto era diretto ad incentivare chi acquisiva il credito.

Il processo comportava semplicisticamente quindi tre attori principali: il soggetto “A” che era intenzionato a rinnovare radicalmente la propria casa, l’impresa “B” che realizzava i lavori e che emetteva una fattura a zero verso “A” acquisendo il credito, che poi cedeva al soggetto finanziario “C”, il quale se lo detraeva dalla sua fiscalità. Il soggetto “C” restituiva all’impresa quasi il 100% della spesa lavori e si riservava il restante 10% come agio per l’acquisto del credito.

Andando avanti nel tempo quel 100% si è assottigliato, in pratica “C” decurtava in misura maggiore la monetizzazione del credito verso “B” che faticava sempre più a fare fronte al crescente costo dei materiali ai quali si faceva fronte adeguando i prezzari sulla base di cui si svolgevano i computi metrici estimativi dei lavori da portare in detrazione.

A ciò si aggiungeva il difficile reperimento di questi ultimi e quindi nasceva il problema di rientrate nei tempi di una misura temporalmente a termine, altra criticità di non facile superamento, se non con alcune proroghe che procrastinavano in maniera articolata la fruizione dell’incentivo a seconda dei soggetti beneficiari.  Alla fine, scaduto un certo termine, che per i condomini era il 31 dicembre 2023, l’aliquota si abbassava progressivamente sino al 2025. Tuttavia rimanevano in piedi anche la cessione del credito e lo sconto in fattura.

È inutile ora andare a sbobinare tutta la sequela delle modifiche fiscali, tecniche e temporali, non basterebbe un trattato in materia, peraltro difficilmente estendibile per essere perfettamente aderente alla cronistoria degli eventi. Di fatto attualmente appare incomprensibile un certo aspetto.

Come mai una misura che era a termine e che prevedeva una spesa pubblica, o meglio una minore entrata di introiti fiscali verso lo Stato per un massimo di 32 miliardi di euro, è arrivata a costarne 120 di miliardi? Già all’inizio del 2022 alcuni istituti di credito avevano acceso il “warning” e segnalavano che erano arrivati al tetto della loro capacità fiscale.

Forse era il caso di interrompere allora il processo e poi resettarlo studiando un nuovo provvedimento mentre si verificavano i risultati iniziali. Di seguito si poteva poi tentare di rendere la misura come strutturale e permanente, ma con maggiore sostenibilità dei conti pubblici e considerando l’equilibrio che si creava tra minori entrate fiscali con il maggiore gettito dato dall’incremento occupazionale e produttivo e dall’aumento del PIL.

Messo tutto in discussione e decretando l’annullamento della cessione del credito/sconto in fattura, peraltro allargato a tutti gli altri bonus fiscali minori, di fatto il settore edile è bloccato, trascinando nella crisi il proprio indotto ed altri comparti produttivi che crescevano di riflesso.

Attualmente risulta non sostenibile per chi non ha sufficienti possibilità cambiare la propria caldaia e gli infissi esterni senza usufruire dello sconto del 65% o 50%, figuriamoci se si vanno a considerare maggiori impegni di spesa per la riqualificazione energetica globale dell’immobile o la sua messa in sicurezza antisismica.

Vi sono soluzioni al problema? Di certo sul tema vanno responsabilizzati tutti, soprattutto i beneficiari che devono avere coscienza sull’attenta scelta degli interventi e sullo stile di vita per la diminuzione dei consumi quotidiani. A ciò però è d’obbligo da parte del Governo utilizzare tutte le risorse comunitarie per intervenire decisamente su quei versanti più globali che investono il settore dei trasporti, l’incentivazione delle fonti rinnovabili di energia, la ricerca e quant’altro utile per rientrare nei criteri del pubblico interesse e senza ricadere in manovre incentivanti di tipo eccessivamente privatistico che vanno ad aumentare il debito pubblico.

Il Governo e le parti politiche devono mettere seriamente la testa sopra al problema, anche perché le misure restrittive sull’uso del gas fossile sono alle porte e non basta sostituire con la pompa di calore la caldaietta a muro appesa fuori al balcone.

Non si può puntare il dito biasimando le persone che volevano rifarsi casa a spese dello Stato e adducendo le motivazioni della frode che ha caratterizzato in parte il processo dei bonus fiscali.

Il dovere del controllo è di competenza degli organi statali di vigilanza così come lo è l’attenta programmazione della spesa, ma se non si interviene più generalmente sul costo del lavoro attraverso l’abbassamento del cuneo fiscale, la lotta al precariato ed il sostegno ai settori sociali in disagio, difficilmente si potrà raggiungere un maggiore benessere che potrà costituire un invito a fare di tasca propria, almeno in parte, la riqualificazione della propria casa.

Particolare attenzione va fatta rispetto alla sicurezza antisismica: ogni evento che si scatena sul nostro Appennino, costa decine di miliardi di euro che in urgenza vengono messi a disposizione. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, (PNRR) fondato su risorse comunitarie messe a disposizione, assegna notevoli risorse che vanno utilizzate immediatamente nella logica che la salvaguardia del territorio non può unicamente essere a carico del singolo proprietario o altri in concorso con esso.

di Domenico Sostero, architetto