A otto anni dalla “riforma del condominio” la legge resta piena di errori e lacune. Tra queste la mancata revisione della norma che disciplina la revoca giudiziale dell’a ministratore. Una trappola nascosta e letale per gli amministratori.
“Conoscere le nostre leggi è impossibile, perché è impossibile capirle”(Michele Ainis)
Sono passati otto anni dalla pubblicazione della legge 220/2012, la cosiddetta “riforma del condominio”. Otto anni di studi, convegni, dibattiti. Otto anni di cause e quindi di sentenze. Più variegate del costume di Arlecchino.
L’errore che il sottoscritto rileva anche tra i commentatori più autorevoli è la loro spasmodica ricerca di una coerenza logica nella legge di riforma. Il tentativo di dare ordine alla materia. Ma ci si deve rassegnare, vi dovete rassegnare: la legge 220/2012 non ha alcuna coerenza logica – giuridica.
Forse il legislatore aveva in mente un filo conduttore, ma poi quale legislatore?
La Camera? Il Senato? Oppure i vari governi o parlamentari che si sono succeduti nel tempo, ciascuno aggiungendo o togliendo qualcosa al testo per vili motivi di bottega? Noi tutti però dobbiamo confrontarci con il testo della legge, perché quello che era nella mente del legislatore nulla conta.
Allora oggi, con ancora più veemenza rispetto ad anni fa, affermo che la legge 220/2012 è infarcita di errori, contraddizioni e omissioni gravi, e per di più scritta in un italiano discutibile.
Un altro difetto della riforma, derivante da una non profonda conoscenza della materia, è di non essere intervenuta in modo incisivo laddove invece era necessario.
Un esempio è l’articolo che disciplina il dissenso alla lite. Un arzigogolo inestricabile che da decenni affatica gli operatori del diritto e gli amministratori. L’articolo era da cancellare sic et simpliceter oppure andava riscritto completamente. Il legislatore della riforma non lo ha neppure sfiorato.
E sarebbe stata quanto mai opportuna una modificazione del primo comma dell’art. 1129 c.c. Il primo comma dell’art.1129 c.c. è’ l’articolo più sottovalutato dagli amministratori. E fanno male. Perché il più “pericoloso” per loro. Una trappola nascosta e letale.
L’art. 1129 c.c. è inderogabile per espressa previsione di legge (art. 1138 c.c.), quindi nessuna delibera o norma contrattuale lo può validamente modificare: pertanto quanto prescritto da tale articolo è legge ferrea.
La previsione legislativa (rimasta nella sostanza invariata anche dopo la ben nota novella riformatrice) è una tagliola affilatissima, nella sua apparente semplicità.
Il primo comma è molto chiaro nel disporre che l’amministratore venga nominato dall’assemblea dei condomini. Norma chiara e ineccepibile.
Ma, dice la norma in esame, se i condomini non lo fanno, per un motivo qualsiasi, interviene il tribunale su richiesta anche di un solo condomino (ora anche dell’amministratore che se ne voglia andare).
Pertanto è sufficiente che, in un condominio di più di otto condomini, due o tre assemblee non riescano a deliberare sulla nomina/conferma dell’amministratore affinché il tribunale debba nominare l’amministratore, sostituendosi ai condomini inerti.
In tale evenienza quindi il tribunale nomina l’amministratore sostituendolo a quello in carica fino a quel momento. Nei fatti una revoca, seppure nulla possa imputarsi all’amministratore uscente.
Non ha alcuna rilevanza il motivo per cui i condomini riuniti in assemblea non provvedano alla nomina/conferma. È irrilevante che la ragione sia il non avere raggiunto il quorum costitutivo o quello deliberativo. Il risultato finale non cambia: l’assembla non nomina/conferma, allora lo fa il tribunale, su richiesta anche di un solo condomino.
L’amministratore in carica, anche se lo sia da molti anni, anche se bravissimo e amato da parte dei condomini, si vede sostituito d’imperio dal tribunale per l’inerzia o la litigiosità dei condomini.
Allora per l’amministratore è molto meglio avere una delibera che lo confermi nella carica, seppure invalida, ad esempio per carenza del quorum deliberativo.
Infatti sappiamo tutti che una delibera invalida per difetti nel quorum o nell’iter formativo è sanata allorché siano trascorsi 30 giorni senza che uno o più condomini dissenzienti o assenti l’abbiano impugnata.
E comunque la delibera impugnata rimane valida ed efficace fino a quando il tribunale non ne pronunci l’annullamento con la sentenza finale, il che mediamente avviene dopo circa 2/3 anni dall’introduzione del giudizio, dando così modo ai condomini nelle more di sanare l’irregolarità.
Di sicuro è paradossale che la corretta verbalizzazione di non avere deliberato sulla conferma/nomina dell’amministratore per la carenza dei quorum, porterebbe in poco tempo alla sostituzione certa dell’amministratore da parte del tribunale.
Mentre la delibera che confermasse l’amministratore, seppure invalida per la mancanza del quorum deliberativo o per altro vizio annullabile, verrebbe sanata in modo definitivo se nessuno impugnasse nel termine di 30 giorni.
Ferdinando della Corte, avvocato