Come bisogna la professione dell’amministratore di condominio che, negli ultimi anni, ha visto introdurre strumenti e ruoli che fanno di chi la esercita a tutti gli effetti un libero professionista?
La Seconda Sezione della Corte di Cassazione riunita in Camera di Consiglio il 22 gennaio 2021 n. 7874 ha affermato che: “il contratto tipico di amministrazione di condominio … omissis … non costituisce prestazione d’opera intellettuale, e non è perciò soggetto alle norme che il codice civile prevede per il relativo contratto, atteso che l’esercizio della relativa attività di amministratore di condominio non è subordinata – come richiesto dall’art. 2229 c.c. – all’iscrizione in apposito albo o elenco, … omissis … e rientra, piuttosto, nell’ambito delle professioni non organizzate in ordini o collegi, di cui alla legge 14 gennaio 2013 n. 4”.
Tale autorevole affermazione ha suscitato un ampio dibattito focalizzato sull’assunto “atteso che l’esercizio di tale attività non è subordinata – come richiesto dall’art. 2229 c.c. – all’iscrizione in apposito albo o elenco … “
Con tutta la modestia possibile, ma con pari fermezza, pur tenendo conto del valore altissimo di coloro che già si sono pronunciati in senso favorevole a tale pronunciamento, mi permetto di scrivere che non sono d’accordo con la Corte di Cassazione.
Con l’espressione libero professionista si intende un lavoratore autonomo che presta la propria attività di natura intellettuale a favore di terzi.
Ebbene, per la massima chiarezza espositiva dico subito che a mio parere l’amministratore di condominio è un libero professionista a tutto tondo e lo è sia perché lo prevede la normativa, sia perché lo è nei fatti.
La normativa
Rileggiamo il primo comma dell’art. 2229 c.c., sul quale si fonda il ragionamento della Suprema Corte: ”La legge determina le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi”.
Ebbene, la norma in esame non dice che per aversi una professione intellettuale sia sempre e comunque necessario l’iscrizione ad un albo o elenco. Non impone quale condizione sine qua non l’iscrizione ad un albo o elenco per l’esercizio di una professione intellettuale.
Più semplicemente ed esattamente il citato capoverso ci dice che la legge individua quali siano le professioni intellettuali per le quali sia necessaria l’iscrizione ad un albo. Ma non vieta, non impedisce che ci siano professioni intellettuali per le quali non sia necessaria l’iscrizione in albi o elenchi.
Infatti non è scritto: “requisito essenziale per l’esercizio di una professione intellettuale è l’iscrizione in appositi albi o elenchi”.
Il capoverso dell’art. 2229 c.c. opera una mera, seppure rilevante precisazione, affermando che vi sono delle professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in albi o elenchi, ma non esclude, tutt’altro, che possano esservi altre professioni intellettuali per le quali tale iscrizione non sia un presupposto essenziale.
E tutto ciò viene confermato proprio dalla legge 14 gennaio 2013 n. 4 che, in perfetta aderenza al dettato del primo comma dell’art. 2229 c.c., ha, per l’appunto, disciplinato alcune professioni intellettuali per il cui esercizio non è prevista l’iscrizione in albi o elenchi.
Per semplicità riporto qui di seguito lo stralcio del testo dei primi articoli della legge 14 gennaio 2013 n. 4
“Art. 1. La presente legge, in attuazione dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione e nel rispetto dei principi dell’Unione europea in materia di concorrenza e di libertà’ di circolazione, disciplina le professioni non organizzate in ordini o collegi.”
Il testo è chiaro, è in perfetta armonia, concorda con quanto previsto dal capoverso dell’art. 2229 c.c.: la legge in esame disciplina le professioni intellettuali per il cui esercizio non sia presupposto necessario l’iscrizione ad un albo.
“Art. 2. Ai fini della presente legge, per «professione non organizzata in ordini o collegi», di seguito denominata «professione», si intende l’attività’ economica, anche organizzata, volta alla prestazione di servizi o di opere a favore di terzi, esercitata abitualmente e prevalentemente mediante lavoro intellettuale, o comunque con il concorso di questo, con esclusione delle attività’ riservate per legge a soggetti iscritti in albi o elenchi ai sensi dell’art. 2229 del codice civile … “
“Art. 4. L’esercizio della professione è libero e fondato sull’autonomia, sulle competenze e sull’indipendenza di giudizio intellettuale e tecnica, nel rispetto dei principi di buona fede, dell’affidamento del pubblico e della clientela, della correttezza, dell’ampliamento e della specializzazione dell’offerta dei servizi, della responsabilità del professionista.”
Le parole “professione “ “lavoro intellettuale”, “giudizio intellettuale”, ma soprattutto l’intero impianto della legge n. 4/2013 sono inequivocabili. Il legislatore ha voluto disciplinare le professioni intellettuali “non organizzate in ordini o collegi”.
Le norme quindi riconoscono la legittimità e quindi e consentono che vi siano professioni intellettuali per il cui esercizio non sia obbligatoria l’iscrizione in un albo.
La realtà sostanziale
L’attività dell’amministratore di condominio, soprattutto dopo la radicale riforma del 2012, non può più essere racchiusa nella troppo stretta gabbia del contratto di mandato, che può spiegare solo in parte, e neppure la più rilevante, la natura della sua attività professionale. L’attività dell’amministratore è ben più complessa e diversa da quella prevista e disciplinata dal contratto di mandato.
L’attività dell’amministratore di immobili oggi implica responsabilità personali che il mandatario non conosce.
E allora è logico domandarsi in che cosa consista l’attività dell’amministratore di immobili, quale sia la natura della sua attività e il confronto con la realtà quotidiana mi porta alla conclusione che l’amministratore di condominio sia un libero professionista.
Perché la sostanza delle cose alla fine prevale sugli schemi giuridici preconfezionati.
Mi limito a due esempi eclatanti di attività professionali dell’amministratore.
L’art. 1130, 1° comma, nn. 3 e 4 c.c. dispone che l’amministratore agisca per il recupero in via giudiziaria ed esecutiva dei crediti per quote condominiali non pagate senza aver bisogno di alcuna delibera che lo autorizzi. Del pari è tenuto a compiere gli atti conservativi, sostanziali e giudiziari, in via autonoma, senza necessità di alcuna delibera.
Decide lui, in piena autonomia, in base alla propria competenza professionale se e quando agire. Sceglie lui l’impresa alla quale affidare l’intervento urgente per eliminare il pericolo o il legale al quale affidare il mandato ad agire o resistere in giudizio. Sono sue personali valutazioni.
Decide lui, perché ha il diritto e il dovere professionale di farlo. Se e che cosa fare è una sua scelta intellettuale. Ha una tale e totale autonomia decisionale che le sue scelte ricadono in modo ineludibile sui condomini, i quali sono poi tenuti al pagamento delle spese derivanti dalle sue decisioni. E se le sue decisioni, se le sue scelte autonome fossero sbagliate, sarà tenuto a risponderne personalmente.
Lo stesso discorso vale nelle ipotesi di cause che abbiano come oggetto l’impugnazione delle delibere assembleari.
La Corte di Cassazione ci ha insegnato che in tali casi l’amministratore ha il diritto e il dovere professionale di difendere le delibere impugnate senza chiedere all’assemblea di essere autorizzato alla difesa. E’ suo dovere professionale valutare la situazione, scegliere il legale e concordare con lui le logiche difensive. E anche in questo caso la sua decisione, presa in totale autonomia, vincola i condomini, i quali dovranno sostenere i relativi costi.
Se l’amministratore di condominio non fosse un libero professionista, tutto questo non sarebbe possibile.
di Ferdinando della Corte, avvocato