A oltre 30 anni di distanza dall’approvazione della Legge Pinto, oggi i giudici tendono a riconoscere il diritto al risarcimento al solo condominio e non ai singoli abitanti del palazzo.
La legge n. 89 del 2001, meglio conosciuta come “Legge Pinto” (dal nome del suo estensore Michele Pinto), consente di chiedere allo Stato una equa riparazione dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti dalle parti a causa della irragionevole durata del processo.
Trattasi di un’obbligazione ex lege di natura indennitaria introdotta al fine di sanzionare la ben nota problematica dell’eccessiva lunghezza dei tempi della giustizia italiana.
Tale normativa e, in particolare, la Legge Pinto si pone in attuazione dell’art. 6 CEDU e dell’art. 111 della Costituzione che sancisce la “ragionevole durata del processo”.
E’ la legge suddetta che sancisce la durata “ragionevole” del processo superata la quale la parte può chiedere il ristoro allo Stato con una procedura ad hoc.
La questione suddetta ha interessato gli addetti ai lavori per quanto concerne la risarcibilità del danno non patrimoniale delle persone giuridiche e, nello specifico, nei confronti del Condominio.
Premesso che in merito alla natura giuridica del Condominio ferventi appaiono oggi i dibattiti in dottrina e giurisprudenza sulla sua qualificazione giuridica, ragion per cui la questione viene trattata in questa sede parlando di soggetti collettivi in generale, si osserva che la giurisprudenza in passato non ammetteva la risarcibilità del danno non patrimoniale nei confronti di un soggetto collettivo in considerazione del fatto che il richiedente deve fornire rigorosa prova del danno il quale deve incidere sull’esistenza, sulla reputazione e sull’identità dell’ente (cfr. Cassazione, sentenza n. 12119/2004).
Solo con la sentenza n. 7145/2006 la Suprema Corte ha chiarito che “in tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo … anche per le persone giuridiche (e, più in generale, per i soggetti collettivi) il danno non patrimoniale … è … conseguenza normale, ancorché non automatica e necessaria della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo … a causa dei disagi e dei turbamenti di carattere psicologico che la lesione di tale diritto solitamente provoca alle persone preposte alla gestione dell’ente o ai suoi membri…”.
Tale sentenza risulta di particolare pregio perché riconosce la risarcibilità del danno non patrimoniale che potrebbe definirsi “indiretta”, in quanto non di vera e propria sofferenza dell’ente immateriale può parlarsi, quanto di un patema d’animo sofferto da colui che l’ente rappresenta o amministra.
Ciò chiarito, bisogna affrontare un’altra questione oggetto di un fervente dibattito, ossia la legittimazione attiva dei singoli condomini a richiedere il risarcimento da irragionevole durata del processo, allorquando nel giudizio la parte processuale sia stata il Condominio.
Sul punto, si segnala che in diverse circostanze i singoli condomini hanno attivato la procedura risarcitoria anzidetta motivando la propria legittimazione attiva sulla connessione del diritto dal quale scaturiva la pretesa indennitaria.
La Cassazione, però, è più volte intervenuta negando la legittimazione attiva del singolo.
E’ stato chiarito che “in caso di violazione del termine ragionevole del processo, qualora il giudizio sia stato promosso dal condominio, sebbene a tutela di diritti connessi alla partecipazione di singoli condomini, ma senza che costoro siano stati parte in causa, la legittimazione ad agire per l’equa riparazione spetta esclusivamente al condominio, quale autonomo soggetto giuridico, in persona dell’amministratore, autorizzato dall’assemblea dei condomini.” ( cfr. Cass. sent. n. 5426/16)
Pertanto, seguendo quello ad oggi appare l’orientamento prevalente, si deve concludere che nel caso in cui il Condominio sia stato parte di un processo, la successiva richiesta indennitaria spetta esclusivamente al Condominio in persona del suo Amministratore e non al singolo condomino.
di Filippo Simone Zinelli, avvocato