CAUSE CONDOMINIALI, ci si può rifiutare di partecipare?

Una vecchia norma consente ai singoli condomini di dissentire dal partecipare a una causa o a un processo, a condizioni molto precise. Ma chi paga le spese legali e chi beneficia dei vantaggi in caso di vittoria legale?

 

Il diritto di un condomino di non partecipare a una causa nella quale sia coinvolto il condominio è definito “dissenso alla lite” ed è disciplinato dell’articolo 1132 del codice civile.

Al fine di evitare qualsiasi possibile fraintendimento va precisato che il codice civile con il termine “lite” intende una causa o un processo, non qualsiasi contrasto tra posizioni contrapposte espresso fuori dalle aule di giustizia.

Il dissenso alla lite è un argomento complesso e controverso, fonte di discussioni infinite perché la norma in esame è confusa, si presta a interpretazioni le più disparate ed è fonte di contrasti tra amministratori e condomini e tra i condomini, ma soprattutto è a mio parere dannosa e contraria allo spirito di socialità che deve (dovrebbe?) permeare il condominio.

L’articolo 1132 è tra quelli che non sono stati toccati dalla nota e oramai non più nuova riforma del 2012, mentre avrebbe avuto bisogno di una radicale riscrittura, meglio ancora sarebbe stata, a mio avviso, la sua eliminazione.

Ma alcuni punti fermi ci sono, anche se il merito di questi va ascritto, come spesso avviene, alla giurisprudenza più che al legislatore.

 

La delibera: presupposto preliminare imprescindibile.

Il primo punto fermo: il dissenso può essere manifestato soltanto in ordine alle cause, attive o passive, alle quali il condominio abbia deciso di partecipare in forza di una delibera assembleare: se non c’è la delibera, non esiste la possibilità di esprimere il dissenso.

Senza delibera i condomini non hanno il diritto o la facoltà di esprimere il dissenso. La delibera è quindi un presupposto essenziale per poter manifestare il dissenso alla lite. Ne consegue che non esiste la facoltà per i condomini di esercitare il dissenso in ordine alle liti che l’amministratore ha il dovere di promuovere o di resistere senza il preventivo “passaggio in assemblea”.

Quindi non esiste il diritto di esprimere il dissenso per le cause il cui esercizio rientri nei poteri/doveri dell’amministratore, ad esempio il ricorso per decreto ingiuntivo contro i condomini morosi o il ricorso d’urgenza per il passaggio delle consegne nei confronti dell’amministratore uscente o per le cause di impugnazione delle delibere.

 

Due formalità entrambe necessarie

Il secondo punto fermo è che il condomino presente in assemblea per esprimere il dissenso in modo valido deve compiere due distinti atti formali, entrambi essenziali.

Il condomino presente in assemblea infatti deve votare “no” allorché si voti sulla partecipazione o meno del condominio alla causa, cioè deve essere manifestamente “dissenziente” in relazione alla delibera: il voto “negativo” è solo la prima formalità, assolutamente necessaria, ma non sufficiente da sola.

Il solo votare “no” non è sufficiente per essere esclusi dalle eventuali conseguenze negative della causa, cioè per essere “dissenziente” nel significato di cui all’art. 1132 del codice civile.

Per essere dissenziente nel senso di essere legittimamente escluso dalla causa e quindi dalle conseguenze negative che potrebbero derivarne, il condomino che abbia espresso voto negativo in assemblea ha poi l’obbligo di notificare – ma basta una lettera raccomandata a.r.  – all’amministratore un atto scritto con il quale ribadisca il suo dissenso, cioè la sua contrarietà alla causa e quindi la sua volontà di essere esonerato dalla partecipazione alle spese. Tale comunicazione deve pervenire all’amministratore entro 30 giorni dalla data dell’assemblea.

Ovviamente il condominio assente, se volesse dissentire dalla lite giudiziaria, dovrebbe soltanto inviare all’amministratore la formale comunicazione scritta di dissenso entro 30 giorni dalla data in cui abbia avuto conoscenza della delibera.

 

Le conseguenze della lite

Il condomino esprime il dissenso per l’evidente motivo di non voler essere coinvolto nella causa sotto il profilo economico, cioè per la volontà di non subire le eventuali conseguenze negative derivanti da un esito negativo del processo.

In caso di soccombenza del condominio il primo comma dell’art. 1132 del codice civile statuisce che il condomino che abbia espresso il dissenso “può separare la propria responsabilità in ordine alle conseguenze della lite per il caso di soccombenza”. Formula quanto mai ambigua, tanto è vero che esiste una forte e giustificata confusione interpretativa e soprattutto una disparità di vedute tra i vari tribunali.

In caso di soccombenza, in ordine al pagamento delle spese di lite, abbiamo due conseguenze per il soccombente: una certa e una probabile, ricordando che la norma, come detto, risale al 1942, allorché non esisteva il patto quota – lite tra cliente e avvocato.

La conseguenza certa è il pagamento della parcella del proprio legale. Infatti il cliente è tenuto a pagare la parcella del proprio avvocato qualunque sia l’esito del processo.La conseguenza probabile (molto) è la condanna al pagamento delle spese legali, in tutto o in parte, a favore della parte vittoriosa.

Quindi il condomino dissenziente, in caso di soccombenza del condominio, non è tenuto a partecipare al pagamento delle spese processuali a favore del difensore del condominio e a quelle eventuali, ma probabili a favore della controparte liquidate dal giudice con la sentenza.

È opportuno sottolineare che, nel caso in cui oggetto del giudizio sia il pagamento di una spesa per un bene o un servizio fornito al condominio, il dissenso alla lite non esonera il condomino dissenziente dall’obbligo di contribuire, pro quota, al pagamento della spesa.

Ad esempio, se oggetto della lite fosse il pagamento della fornitura di gasolio, pagamento contestato dai condomini e preteso dal fornitore, in caso di esito negativo della lite per il condominio, il condomino dissenziente sarebbe esonerato soltanto dal contribuire alle spese processuali, ma non dal partecipare, pro quota, al pagamento del gasolio.

 

In caso di vittoria del condominioil secondo comma dell’art. 1132 stabilisce invece che, se l’esito della lite sia stato favorevole al condominio, il condomino dissenziente “che ne abbia tratto vantaggio è tenuto a concorrere nelle spese del giudizio che non sia stato possibile ripetere dalla parte soccombente”.
In caso di esito vittorioso, in ordine alle spese di lite, abbiamo quindi due conseguenze per il condominio: una certa e una probabile: la conseguenza certa è il pagamento della parcella del proprio legale, la conseguenza probabile è la condanna della controparte soccombente al pagamento delle spese legali a favore del condominio.

In tal caso, cioè se vi sia la condanna della parte avversa al pagamento delle spese, allora ci sono due condizioni che comportano il pagamento delle spese in quota parte per il condomino dissenziente:

  1. a) se il condomino dissenziente hai tratto vantaggio dall’esito vittorioso;
  2. b) se le somme liquidate dal giudice a favore del condominio vittorioso a carico della controparte soccombente non siano sufficienti a coprire le spese pagate dal condominio al proprio legale.

Allora, e solo allora, il condomino dissenziente dovrà contribuire pro quota alle spese processuali per la sola parte non “coperta” da quanto recuperato dalla parte soccombente.

Quindi in caso di vittoria del condominio il dissenziente non deve partecipare alle spese processuali, se non nell’ipotesi residuale sopra illustrata.

Pertanto il condominio dissenziente, in relazione alle cause deliberate in assemblea, non è tenuto a partecipare al pagamento pro quota delle spese processuali, e precisamente non è tenuto a pagare né quelle a favore della eventuale controparte vittoriosa, né quelle a favore del legale del condominio.

Al fine di fare la maggiore chiarezza possibile si evidenzia che gli acconti pagati dal condominio al proprio legale di fiducia sono appunto acconti, cioè anticipazioni sulla parcella finale, per cui il condomino dissenziente non dovendo pagare la parcella non deve pagare neppure gli acconti sulla parcella.

Infine è opportuno ricordare che l’art. 1132 del codice civile è inderogabile per espressa previsione del IV comma dell’art. 1138, quindi neppure una norma contrattuale del regolamento può modificarlo.

di Ferdinando Della Corte, avvocato